13 feb 2024

Disabili e società. Emma ha 18 anni, «ora dobbiamo lasciarla andare»

Una madre, una figlia con la sindrome di Down e un cerchio che si chiude. «La palla passa a lei». I pensieri, il tempo e l’orizzonte, tutto raccolto in un libro, intitolato “Diciotto” 
di Claudio Arrigoni corriere.it

Emma, il giorno del 18esimo compleanno
Sono diciotto. Gli anni di Emma e i regali che Martina ha pensato per lei. Chiusi in quelle capsule del tempo che non spariranno mai, perché sono nella mente e nel cuore. Una figlia che cresce e una mamma che sa coltivare la memoria per liberare il futuro. Diventa il regalo di Martina per Emma: una grande scatola che contiene 18 oggetti e 18 lettere. Gliela consegna il giorno prima della festa. Vuole un momento tutto per loro. Sono libri, vestiti, foto, ricordi di quel pezzo di vita trascorso insieme. È l’inizio, per entrambe, di un viaggio nel tempo che ha attraversato le loro vite, unite in una famiglia unica ma uguale a tante altre con l’amore dentro. Quel momento è diventato un racconto che non scade in pietismo o esaltazione, come sempre dovrebbe essere quando si affronta una condizione di vita potenzialmente discriminante. Perché Emma è nata con la sindrome di Down e questo è un particolare non secondario, ma rimane un particolare dentro una vita che ne ha tanti altri.

L’orizzonte
Diciotto , uscito nei giorni scorsi per Salani, non è un libro scritto dalla madre di una ragazza con sindrome di Down: «Mi sento molto mamma, e questo basta». Ed infatti è nato per una figlia e su una figlia, il loro rapporto e quello con il mondo, gli amici, la famiglia, la sorella e il fratello, le passioni e le sorprese. Viaggi, incontri, città e paesi diversi, culture nuove. La sindrome di Down è un pezzo dentro a tutto questo, niente di più e niente di meno. «Ho voluto e cercato di uscire dai confini di una condizione particolare, parlare ai genitori in maniera più larga». Una narrazione che era cominciata con lo Lo zaino di Emma , il primo libro in cui Martina Fuga, veneziana di nascita e milanese di adozione, la racconta, e che trova sublimazione in questo ultimo lavoro: «La celebrazione dei suoi diciotto anni era il perfezionamento di un ciclo di vita e mi sentivo di chiudere il cerchio per lasciare poi la palla a Emma, se avrà voglia di raccontarsi. Sentivo di avere come una scadenza, oltre quella data non volevo andare».

Il tempo
Si parte dalla nascita, ma non è la cronologia di una vita. Episodi che la fanno capire, quello sì. Le vacanze in America, il primo giorno di scuola, l’incontro con Papa Francesco, il primo appuntamento con un fidanzato, il rapporto con la sorella e il fratello («è stata forse la parte più difficile da affrontare, un tema centrale, la parte in cui un genitore si sente meno adeguato: è l’altra faccia del “dopo di noi”, una responsabilità che non deve essere in capo a loro»), le esigenze di una ragazza sempre più autonoma, consapevole, pronta ad affrontare la vita adulta.
Momenti. Martina che sta tornando dalla corsa del mattino, cuffie in testa e fiato corto. Una mamma e il suo bambino che stanno entrando in un portone. Lui la vede, le parla. Lei non sente, si ferma. «Era un bambino particolare, non so quale conto aperto avesse con la vita, ma lo aveva. Jeans, maglietta rossa e zainetto blu. Era bello, la pelle liscia e abbronzata, un sorriso generoso, occhi curiosi che cercavano qualcosa. Ho tolto in fretta le cuffie e gli ho detto: “Buongiorno, scusa, non ti ho sentito!”. “Dove vai?” mi ha chiesto. “A casa. Sono andata a correre e ora sto tornando a casa”. Non ho fatto in tempo a chiedergli “e tu?” che la mamma l’ha tirato dentro il portone. Lui voleva parlare con me e lei tirava. Avrei voluto parlare con lui. Davvero. Avrei anche voluto dire a quella mamma: “Va tutto bene, va tutto bene. So cosa stai pensando. So come ti senti. Mi fa piacere parlare con tuo figlio. Davvero”. Non c’è stato modo, sono stati inghiottiti dall’imbarazzo e dal disagio in un attimo. Ho ripreso i miei passi e appena girato l’angolo ho pianto le lacrime che avevo trattenuto lungo i chilometri di corsa del giorno. Quelle che accumulo nei pensieri ossessivi che mi tolgono il sonno e quelle che trovano posto solo nei miei passi». Quella sfumatura di preoccupazione che spesso è presente nei genitori di persone con disabilità, che hanno vissuto anche Martina e suo marito Paolo: «Non si vuole vederli rifiutare, in un tentativo di protezione che è anche verso noi stessi».

L'amore
Martina Fuga è una storica dell’arte, con diversi libri divulgativi scritti per ragazze e ragazzi, oltre a essere attivista per i diritti delle persone con disabilità e contro ogni tipo di discriminazione. Presidente dell’associazione Genitori e Persone con sindrome di Down e responsabile della comunicazione di Coordown, si occupa di disabilità per amore e di arte per mestiere, ma «non è chiaro dove finisca il mestiere e dove inizi l’amore». Quello che è dentro anche una famiglia meravigliosa, con Giulia e Lorenzo, insieme a Emma, diventati cittadini del mondo per viaggi e residenze. «Hanno frequentato le scuole in paesi e modalità diverse, da quella americana all’italiana, alla francese, anche in remoto per la pandemia. Per Emma l’esperienza forse più difficile è stata quella in Francia, dove ci sono ancora le classi speciali, è stato doloroso vivere quella esclusione». In Italia per lei c’è stato anche l’amore con Alessandro, con quel primo appuntamento da soli e le mamme a seguirli per un tratto a distanza: «Lo racconto in uno dei capitoli. L’amore sa scardinare dei tabù e ha bisogno di spazio, sempre e per tutti».

«L’AUTONOMIA E’ UN OBIETTIVO DI TUTTI, MA NON UGUALE PER TUTTI. SIGNIFICA ESSERE CONSAPEVOLI DI COSA SI HA BISOGNO, E COME CHIEDERLO»

La comunicazione
Un giorno di ormai diversi anni fa a Milano, Martina incontra un ragazzo di quelli che forse mai avrebbe immaginato: «Mi dice: gioco a calcio. Gli dico: mi occupo di arte. Ho capito una volta di più che bisogna conoscere le persone oltre le etichette». Perché poi con Paolo si è sposata e ha girato l’Europa insieme ai tre figli per seguirlo come giocatore prima e allenatore poi, fra Istanbul, Nantes, Londra. Nel calcio non una meteora: Orlandoni è uno di quelli del triplete con l’Inter di Mourinho, tanto per capirsi. «Diciamo che lui ha imparato a frequentare le mostre con me e io a frequentare gli stadi con lui». In una delle prime capsule del tempo dentro Diciotto ci sono i messaggi con Paolo nella notte della nascita. «Noi siamo molto positivi. Le preoccupazioni c’erano, ma siamo riusciti ad andare oltre». Perché Martina scopre quando Emma nasce che la condizione non è quella che ci si aspetta nei momenti in cui si addobba la cameretta o si pensa ai vestitini. «Fu importante la comunicazione, dolce e delicata. Non sempre è così, purtroppo. Ricordo quella notte. Una infermiera mi portò le foto di suo fratello, anche lui con la sindrome di Down. Mi raccontò la sua vita, le conquiste, gli affetti. Non sapevo nulla, fu fondamentale. Pensandoci poi, capisco quanto sia stata un’ancora, alla quale mi sono aggrappata in una notte tempestosa». Paolo era a casa con Giulia, Martina in ospedale. Parole che arrivano sui display di cellulari, lontani solo nello spazio.

I pensieri
«”Dormi? Io non riesco”. “Tu come stai?”. “Ieri sera quando sono rimasta sola ho avuto un momento di sconforto. Ero triste e pensavo a tutto quello che le mancherà e che non potrà fare, mai però ho pensato che mancherà qualcosa a noi”. “Non le mancherà niente...”. “La prenderanno in giro...”. “Non glielo permetteremo, saremo lì a proteggerla!”. “Si farà degli amici?”. “Certo che avrà degli amici, sarà estroversa e piena di amici come Giulia...”».
Sono i pensieri di ogni mamma e ogni papà che vedono una figlia o un figlio affacciarsi. La sindrome di Down pervade, ma non invade: «Il viaggio di Emma è verso l’autonomia, un obiettivo di tutti, ma non uguale per tutti. Significa essere consapevoli di cosa si ha bisogno e come chiederlo, se serve. Per affrontare il mondo e prendersi la vita».

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